C’ERA UNA VOLTA IL CALCIO ITALIANO

1408257_smallHo messo recentemente un ‘like’ sulla pagina Facebook “SERIE A: OPERAZIONE NOSTALGIA”, dove vengono postate foto di grandi ex calciatori che giocavano nel nostro campionato. Erano gli anni d’oro del calcio italiano, erano gli anni in cui le squadre italiane primeggiavano in Europa, erano gli anni in cui il nostro torneo era una vetrina importante per i calciatori che volevano affermarsi. Oggi? Solo riflessi. Solo sbiadite immagini di un calcio che qualitativamente non esiste più. Il calcio delle ‘7 Sorelle’, il calcio delle ‘bandiere’, il calcio che tanto ci rammarichiamo non ci faccia più sentire orgogliosi.

download (4)Come e perché sia cambiato credo di saperlo: il ‘Dio Denaro’ è il ‘Grande Artigiano’ che controlla e decide. La crisi economica che attanaglia il mondo intero, ha nell’Italia un bersaglio fragile e facile, visto che siamo noi i primi a non sostenere, mentalmente e fisicamente, un processo di ripresa. Così, anche se il calcio è una macchina in cui i soldi certo non mancano, se paragoniamo la nostra Serie A ad altri campionati europei, ciò che vediamo è un torneo, il nostro, con stadi mezzi vuoti e vecchissimi, giovani calciatori schiavi dei procuratori, stelle cadenti che prendono l’Italia come ‘una botta di vita’; dall’altra, giocatori supereroi, stadi che scoppiano di persone, aitanti giovani che rimpinguano i serbatoi delle nazionali del loro paese.

Aldair0001Programmazione, mentalità, investimenti: queste le parole del successo che hanno adottato molti club stranieri. In Italia, solo la Juventus, attualmente, ha saputo farlo; l’Inter, nonostante un bambolotto con gli occhi a mandorla che di calcio vorrei sapere che ci capisce, lo sta facendo, così come la Roma, che sebbene non riesca ancora a scrollarsi di dosso l’appellativo di ‘eterna seconda’ sta investendo nel modo giusto. Il Milan invece si è svegliato solo quest’anno dal sonno quasi trentennale, e glorioso per carità, del duo Galliani-Berlusconi. Le altre? Questione di soldi, ancora una volta. La Lazio ha uno strozzino di nome Lotito che venderebbe pure sua madre, il Parma vediamo tutti da dove ripartirà dopo che Ghirardi si è mangiato anche l’erba dei campi da allenamento, la Fiorentina ha un progetto il cui obiettivo finale ancora non ho ben chiaro. Personalmente, salvo, in parte, il Napoli, che galleggia tra la megalomania del suo Presidente e la mancanza di mezzi, oggettiva, per saziarla.

Asprilla2_MGzoomEppure, i famosi anni d’oro del nostro calcio, ovvero dagli anni ’80 al 2006 (scelgo quest’anno perché la vittoria del Mondiale ha segnato il reset qualitativo del nostro campionato) dicevano di un Parma in Coppa UEFA, della Roma Campione d’Italia, del Napoli di Maradona, del Milan degli Immortali, della Juve di Lippi, della Lazio di Cragnotti, della Fiorentina di Rui Costa e Batistuta, dell’Inter di Ronaldo. Oggi sembrano favole, leggende addirittura. Più forti di tante altre squadre che oggi dominano certi campionati, a detta non certo mia, bensì di grandi maestri del calcio che hanno vissuto parte di quegli anni e che oggi sono ancora in scena.

tumblr_m8dro0fzXm1qmyf06o1_400Il calcio è cambiato per via del cambiamento che alcuni club hanno adottato dopo aver attraversato un punto di rottura. Esempio, la Germania. Dopo l’Europeo del 1996,dove la generazione di Bierhoff, Moeller, Effenbergh, Sammer non aveva più niente da dare, hanno investito sul settore giovanile e sullo sviluppo del brand e del merchandising, su stadi più confortevoli. Risultato: oggi la Bunden è un campionato spettacolare. Campi meravigliosi, stadi pieni, giovani tra i migliori al mondo. Ovvio, ancora una volta, il denaro fa la differenza, solo il Bayern vince e rivince, ma la Nazionale tedesca ha vinto il Mondiale meritatamente, alcuni giocatori erano già presenti nel 2006, chissà quanti lo saranno, come protagonisti e non comparse, nelle manifestazioni future.

weah4Altro esempio la nazionale spagnola. Idilliaca nel gioco e negli interpreti con il Barcellona di Guardiola, ha aggiunto la garra dei giocatori del Real Madrid di Mourinho, ed ha vinto due Europei ed un Mondiale. Certo, non possiamo aprire una parentesi sulla Liga, che è secondo me un campionato di basso livello, ma sulle due squadre più importanti della Spagna e tra quelle europee e oltre, si. L’occhio si sofferma sulla gestione di questi due club. A Madrid la squadra è una polisportiva gestita da soci, che versano una quota associativa di 150 euro annui, in cui la catena che muove il meccanismo è semplice: soldi=vittorie=soldi=vittorie. Stesso discorso per il Barcellona. 175000 tra soci e stakeholders che versano denaro e godono concretamente ed emotivamente dei successi del club.

signori_620x410In Inghilterra, paese che prospera economicamente, la magnificenza della Premier League ha attirato grandi investitori (Mansour ed Abramovic) che hanno portato altrettanto grandi quantità di denaro nei club, messi perciò nella posizione di poter investire nei calciatori più bravi. Nel Manchester United, altro esempio, gli introiti sono forniti da fondi d’investimento stranieri che, appunto, investono nel club. Il grande seguito popolare, a livello di presenze allo stadio e della vendita del merchandising, sono stati i presupposti per portare denaro sonante nelle casse dei maggiori club inglesi.

Quindi, quali sono i motivi per cui il calcio italiano è declinato, e sta inesorabilmente continuando a farlo? Li metto in ordine sparso, vedete voi quali sono il primi e l’ultimo:

1- STADI: la scandalosa speculazione che ha portato alla costruzione degli stadi per i Mondiali del ’90 viene tutt’oggi pagata non solo in termini economici ma anche…plateali. Stadi da oltre 60.000 spettatori riempiti meno della metà, strutture fatiscenti che risalgono addirittura ai tempi del fascismo, che, al di là dell’evento calcistico, non possono essere sfruttati per altro. Negozi e ristoranti, centri ricreativi e di aggregazione sono invece fonti di introiti e di partecipazione che aumentano notevolmente i benefit dei club. Senza contare il fatto che uno stadio deve essere di proprietà dei club; molti costi, ma anche entrate.

2- POLITICA: in senso stretto, nel senso di mancanza di supporto da parte delle Pubbliche Amministrazioni nell’agevolare le squadre di calcio in termini di concessione di strutture e di chiusura nei confronti di possibili investitori che, ovviamente, cercano un riscontro economico sul territorio; in senso lato, nel senso che la diceria “in Italia comandano gli Ultrà” è un dato di fatto. La politicizzazione delle curve in Italia non permette alle società di crescere, giacché senza tifosi il calcio perde parte della sua spettacolarità e perché numerosi sono stati i sabotaggi che certi club hanno subito.

3- SETTORE GIOVANILE: l’Italia è un paese per vecchi. I giovani italiani sono schiavizzati da squali procuratori che preferiscono mandarli all’estero e guadagnare piuttosto che farli crescere in Italia. In termini imprenditoriali questa logica ha senso, in termini sportivi si ottiene una nazionale mediocre e priva di giovani rampanti. Almeno un numero tale da far ben sperare. La realtà ci dice che molti club schierano ragazzi provenienti da paesi assurdi, e sfido chiunque a negare che in Italia non ci siano ragazzi altrettanto bravi. La realtà ancora più allarmante è che spesso vediamo squadre che non hanno neanche un italiano in campo.

tumblr_m08miyJEHa1qfxktpo1_1280Serve una svolta, epocale, non solo per il nostro paese, ma in questa sede anche per il nostro campionato. Una svolta di mentalità, di chi comanda e di chi partecipa. Una svolta che riporti al top quello che era considerato il campionato più competitivo al mondo, quello che in un passato non troppo lontano ma che sembra un’era fa, ci faceva piangere, gioire, trepidare, emozionare, discutere, litigare…perché prima di tutto, contavamo ed eravamo fieri.

C’ERA UNA VOLTA IL CALCIO ITALIANO

IL PROFETA VAN GAAL

van-gaalC’era una volta il Profeta Maometto. C’è oggi un altro Profeta, nato nel 1951 ad Amsterdam, parla 4 lingue e si chiama Alysius Paulus Maria “Louis” van Gaal. Il mio allenatore preferito. Carisma, disciplina, personalità, preparazione, comunicazione, intelligenza. Serve altro per essere un allenatore? Con lui si: una propria filosofia.

Flessibilità, disciplina, lavoro di squadra, questi sono i tre punti chiave. Il collettivo prima del singolo, è il mantra della “Filosofia Van Gaal”. Ogni calciatore deve sapere quale posizione occupare sul rettangolo di gioco, come aiutare i propri compagni e come battere l’avversario. L’allenatore come ‘punto focale’ di un sistema aperto e modificabile sulla base delle qualità dei giocatori a disposizione, l’allenatore come leader spirituale di una squadra in cui la salute mentale è più importante di quella fisica. Stare bene psicologicamente è la base per stare bene atleticamente. Secondo Van Gaal le qualità dei calciatori (che devono essere intercambiabili, cioè adattarsi a più ruoli nello schieramento di gioco) vengono esaltate dal modulo tattico: è lui a proporre ai suoi calciatori le varie soluzioni per lo sviluppo della manovra di gioco. Loro, poi, ci mettono le singole qualità.

Van Gaal è un programmatore, un pianificatore, un organizzatore. Difficile chiamarlo per ottenere risultati nell’immediato. Con lui si cercano di aprire cicli. Per certi versi è un allenatore vecchio stampo. Con il suo famoso taccuino che custodisce gelosamente durante ogni partita, inverte i ruoli maestro-allievo: lui studia le caratteristiche dei giocatori e poi, solo poi, decide dove posizionarli in campo. Ama i giovani, anche perché tutte le sue squadre fanno della forza fisica, della dinamicità e dell’agonismo la chiave di volta di un sistema in cui, ovviamente, non può mancare la tecnica, da buon olandese. Giovani di belle speranze però: basta guardare le formazioni messe in campo durante le sue gestioni per capire che, il Profeta, sceglie sempre la ‘meglio gioventù’. Anche perché, non si può certo definire un allenatore semplice dal punto di vista caratteriale: autorevolissimo, testardo, onnipotente, l’Olandese Volante si è spesso scontrato con giocatori importanti perché ritenuti non idonei all’amalgama ed alla crescita del gruppo. Quindi alla sua filosofia.

fcb_2010_03_02_en,property=originalIl 3-3-1-3 dell’ Ajax Campione d’Europa nel 1995 contro il Milan (e finalista l’anno seguente contro la Juventus) è un esempio che sintetizza tutto ciò. Nel biennio sopracitato, Van der Sar, Frank e Ronald de Boer, Blind, Seedorf, Davids, Kluivert, Kanu, Litmanen sono i nomi illustri di una squadra che giocava applicando alla lettera la Filosofia del suo allenatore. Il modulo era congeniale alla capacità tattica di Blind e Frank de Boer, al dinamismo di Seedorf e Davids, alla classe di Litmanen, alle doti realizzative di Kluivert e Kanu. Il tutto condito da un portiere bravissimo con i piedi, che sapesse fare l’uomo in più in fase di possesso palla.

download (3)Nel Barcellona, Van Gaal arriva nel 1997, usa una disposizione in campo assai retrograda, spiegabile in un 3-2-3-2 che però esaltava le doti degli interpreti e saziava la voglia di spettacolarità del Camp Nou. Nonostante la cessione di Ronaldo e l’aver relegato Stoichkov alla squadra B, in due anni vince due campionati, una Coppa Nazionale ed una Supercoppa Nazionale, per poi dimettersi per ‘incompatibilità con l’ambiente’. Pretende, ed ottiene, che tutte le giovanili giochino come la prima squadra, in modo tale che a vari step, il giovane calciatore sia già pronto per ciò che vuole il tecnico della formazione maggiore. Koeman, Cocu, Luis Enrique e Guardiola saranno colori i quali trarranno i migliori benefici dagli insegnamenti dell’olandese, come giocatori e come futuri tecnici.

vangaalDopo 4 anni all’AZ Alkmaar, culminati con la vittoria in Eredivise, il 2009 è l’anno del Bayern Monaco: squadra ambiziosa, di prestigio internazionale, settore giovanile tra i migliori al mondo, organizzazione senza eguali, disponibilità economica. Partenza pessima, la peggiore dopo 43 anni, ma ambiente perfetto per un allenatore del suo livello e delle sue capacità. Basta dargli tempo. 4-2-3-1 la disposizione scelta, con Neuer primo regista della squadra, Demichelis il secondo, Schweinsteiger (sua invenzione) e Van Bommel i terzi. Classe e fantasia sulle fasce, con Ribery e Robben e con le spinte dei terzini, il dinamismo di Muller (sua scoperta), Mario Gomez finalizzatore. In fase di non possesso, pressing ultraoffensivo ma non più di 5 secondi consecutivi, linea difensiva alta, giocatori in grado di coprire un’area di 20 metri quadrati. Risultato? Bundesliga e finalista Champions contro la grande Inter di Mourinho (suo allievo nel Barcellona). Su questa stregua, Joachim Low ha impostato la Germania campione del mondo in Brasile.

imageProprio in Brasile, Van Gaal guida la nazionale di calcio olandese. Il sistema di gioco più congeniale agli orange è il 3-4-1-2. Dunque, tra critiche e dubbi, l’allenatore abbandona il canonico 4-3-3, andando contro il dogmatico schema di stampo olandese. Manca il centrocampista ad hoc da posizionare davanti alla difesa (Van Bommel a fine carriera e Strootman infortunato, De Jong pecca in fase di impostazione), manca un’ala destra capace di saltare l’uomo e creare superiorità numerica (Kuyt ha caratteristiche diverse). Ancora una volta, il Gruppo avanti a tutto. Nei quarti addirittura si va ai rigori e sostituisce il portiere Cillessen con Krul, che conferma la sua fama di para-rigori. L’Olanda comunque arriva terza, strapazza la Spagna; solida, compatta, senza troppi fronzoli. Illuminata da un terzetto d’attacco d’esperienza (Van Persie, Sneijder, Robben) e da una difesa che unisce fisico e velocità (Vlaar, De Vrij e Indi) la nazionale olandese esce solo ai rigori contro un’ Argentina nettamente favorita.

Ryan-Giggs-Louis-van-Gaal-Man-Utd-600x300Il presente dice Manchester United. Il compito, aprire una nuova era dopo quella di Sir Alex. Ora, c’è da dire che, anagraficamente, il compito è assai proibitivo. E non solo, visto che nel calcio, solo Ferguson ed i Red Devils hanno stipulato un matrimonio di 26 anni. Difficile poter arrivare a farsi erigere una statua davanti all’Old Trafford come per lo scozzese. Ma i punti in comune, e quindi le basi, ci sono. La personalità non manca, la preparazione nemmeno. La mentalità aperta è un suo marchio di fabbrica. Le scommesse sui giovani il suo punto di forza. Così come il non guardare in faccia nessuno. In più ha astutamente mantenuto Giggs nell’organico tecnico e fatto di Rooney il nuovo capitano. A Manchester sanno il fatto loro e dopo il disastro Moyes, il Choosen One non poteva che essere un allenatore del calibro dell’olandese. Uno che lascia il segno e che può fare la storia anche. Un Profeta.

IL PROFETA VAN GAAL

COME CAMBIA IL CALCIO

Tutti gli appassionati, sanno che il calcio è nato in Inghilterra.

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Formazione della Cambridge University

Dalle “Regole di Cambridge” del 1848 quando si sfidavano i college schierati con 10 alunni più un maestro, alle “Sheffield Rules” del 1857, anno in cui viene fondata la prima squadra di calcio della storia, fino al 1863, quando nella Free Mason’s Tavern di Londra (ancora oggi esistente presso il numero 81/82 di Longacre, Covent Garden) sorge la Football Association. Nel corso del tempo, il calcio è cambiato, si è evoluto, in termini tattici, tecnici e di business.

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Piramide

Tutto inizia con una piramide: 2 difensori, 3 centrocampisti, 5 attaccanti. La regola principale era il cosiddetto ‘kick and rush’, perciò grande forza fisica, grande tempra, poca tecnica, pochissima tattica. Addirittura 2 variabili: 1-1-8 made in England, 2-2-6 scozzese (incredibile la prima partita internazionale giocata nel 1872 tra le due rivali storiche e terminata 0-0 a Glasgow). La Piramide premia per 5 anni il Balckburn Rovers alla fine del XIX° secolo e dura fino agli inizi del ‘900, sbarcando addirittura in America e incoronando nel 1930 l’Uruguay campione del mondo .

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Sistema WM

Il Sistema WM di Herbert Chapman ed il Metodo WW di Vittorio Pozzo sono le due grandi risposte tattiche degne di nota. Il signore inglese che dominò per 5 anni la Premier con il suo Arsenal esalta la nuova filosofia del ‘carpet football’, quindi più tecnica, più tattica, più disciplina. Siamo negli anni 30 del XX° secolo. La palla rasoterra che giocano le squadre d’Oltremanica non convince in Italia, dove i giocatori sono meno tecnici. Il “metodismo” prevede che il gioco passi dal famoso centromedianometodista e che ci siano più verticalizzazioni e contropiedi. Con il metodo, per esempio, la Juventus vince 5 scudetti nel Quinquennio d’oro del 1935 e nel 1934 e ’38 l’Italia sale sul tetto del mondo.

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Catenaccio

Negli anni ’50, una grande rivoluzione arriva dall’Italia. Anzi, sarà quello che poi diventerà il vero marchio di fabbrica del calcio italiano che rivoluziona ogni sistema, metodo e quant’altro: il Catenaccio. Nereo Rocco ed Helenio Herrera i massimi interpreti. All’ombra della Madunina, il primo col Milan, il secondo con l’Inter, portano a casa complessivamente 5 scudetti, 4 Coppe dei Campioni, 3 Intercontinentali e 1 Coppa delle Coppe. Tornante, ala, mediano, regista, libero, stopper, parole che oggi riecheggiano soltanto come riflessi di un calcio che non esiste più ma che, inconsapevolmente, viene soprattutto riproposto in alcune squadre che lottano per la salvezza.

PELE & JAIRZINHO (7) CELEBRATE WINNING THE WORLD CUP FINAL FOR BRAZIL, 1970. CREDIT: COLORSPORT / SIPA / SVEN SIMON - UK USE ONLY
Pelè

Ma per conoscere il primo vero antenato del calcio moderno, in termini tattici, dobbiamo andare in Brasile, alla fine degli anni ’50: l’allenatore dei Verdeoro Feola schiera i brasiliani con un 4-2-4 che ancora oggi, seppur con i dovuti accorgimenti, viene praticato da molti club. Inizia la zona, sparisce il libero, spazio a tecnica, gioco in ampiezza, possesso palla. Davanti, la stella di Pelè è solo la ciliegina sulla torta di una squadra che annovera campioni quali Didì, Vavà, Garrincha e Zagallo e che gioca un calcio che, fino ad allora, non si era mai visto prima.

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Olanda 1974

L’impatto è talmente importante da regnare incontrastato per quasi 20 anni, quando il Calcio Totale dell’Olanda arriva come un fulmine a ciel sereno in termini tattici. Che sono inesistenti, visto che l’allenatore orange Rinus Michels crea negli anni ’70 il prototipo del calciatore moderno, che deve sacrificarsi per la squadra e che deve avere un acume ed un’intelligenza tattica al di sopra delle righe ed il prototipo del possesso palla di oggi, che parte largo fino a stringersi intorno all’area di rigore per poi penetrare con triangolazioni veloci. Una stra-zona che col fuorigioco sistematico ed il pressing altissimo produce un gioco spettacolare che solo il Milan di Sacchi ha saputo replicare, a distanza di quasi 15 anni, e non a caso con 3 olandesi: Gullit, Van Basten, Rijkaard.

Sacchi_scudettoSacchi ha infatti cambiato il sistema tattico del calcio italiano, e non solo. In molti si sono ispirati al suo 4-4-2 fatto di diagonali e fuorigioco, pressing a tutto campo con e senza palla. Soprattutto cambiano gli allenamenti, molto intensi e focalizzati sui particolari. Il Milan degli Immortali lo chiamavano. Come dargli torto? 1 Scudetto, 1 Supercoppa Italiana, 2 Supercoppe Europee, 2 Coppe dei Campioni, 2 Coppe Intercontinentali in 4 stagioni. Tutti i grandi del calcio hanno riconosciuto in quella squadra a cavallo tra gli anni ’80 e’90 la più forte dal dopoguerra in poi.

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Mourinho con il Real Madrid

L’ultimo grande cambiamento degno di nota, credo sia giusto incentralo su Mourinho. L’allenatore di Setubal, allievo di Louis Van Gaal, impara dall’olandese un nuovo sistema di allenamento, basato sulla tecnica e sulla performance. Rui Farias, vice di Mourinho al Porto, nel libro ‘Questione di metodo’ spiega in sintesi la filosofia di Josè: “non è importante che un calciatore percorra 60 metri in 7 secondi se poi non sa farlo con la palla tra i piedi”. Così dice l’Andaluso, tecnica e preparazione atletica votate alle situazioni di gioco. Soprattutto, un nuovissimo sistema di comunicazione, tra calciatori e allenatore, con l’idea di Club sopra ogni cosa. Per Mou la forma al top è fisica e, soprattutto, mentale.

Il calcio è energia, cambia, si trasforma, ma non cesserà mai di esistere. In questa piccola panoramica abbiamo visto come questo gioco abbia mutato la pelle, gli interpreti, gli ideatori, suscitando sempre grande interesse e grande passione. Dalle scarpe con i chiodi alle stelle miliardarie dell’era moderna, dalle arene piene di melma ai campi hi-tech, da completi a vita alta a maglie futuristiche che esaltano le visioni, noi siamo sempre qui, a parlare, ad informarci, a provare emozioni che solo noi footballaddicted possiamo conoscere.

COME CAMBIA IL CALCIO

SEMPLICEMENTE ROONEY

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Quale giocatore vorrei nella mia top team? Cristiano Ronaldo e Messi avrebbero, ovviamente, un ruolo di primo livello; ma ci sono giocatori, anche, che all’economia del gioco spesso giovano più delle grandi stelle del calcio mondiale sopracitate.

Uno di questi giocatori, a mio giudizio, è Wayne Rooney. Per chi come lui esordisce giovanissimo in Premier League prima e nazionale poi, è facile pensare che le porte del calcio che conta siano già aperte verso un radioso futuro; e se a soli 16 anni segni 6 gol in 33 presenze e l’anno dopo diventi il più giovane scorer della tua nazionale, beh, allora sì che sei nella posizione di poter oscurare il tuo predecessore ‘Golden Boy’ Michael Owen.

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Ma a differenza dell’ex Pallone d’oro, per chi come Wayne viene da Croxteth, sobborgo povero di Liverpool, e veste la maglia dell’ Everton, squadra antagonista dei ‘Reds’ di Anfield, niente è scontato, niente è dovuto. Sudore, fatica, lavoro sono le parole chiave che daddy Thomas ha usato per crescere il figlio, e che il figlio ha fatto proprie fin dai primi calci al pallone.

Perché 8,9,10? Basta vederlo giocare. Succede che un giorno, intorno alla fine del mercato estivo 2004, ti chiama un certo Sir Alex Ferguson che ti vuole al Manchester United, sull’altra sponda del Merseyside: a novembre prima doppietta contro il Newcastle (ah, prima rete contro gli acerrimi rivali dell’Arsenal). Semplicemente fantastico: già al secondo anno con i ‘Red Devils’, la maglia numero 10 sulle spalle: la maglia del fantasista, di colui il quale illumina il gioco. Perché lui è così, tecnica sopraffina, acrobazie incredibili (vedi il gol vittoria nel derby contro il City), passaggi da puro genio del calcio. In tutte le zone del campo, visto che Ferguson lo impiega a ridosso della prima punta e sugli esterni.

download (2)Succede che poi un signore chiamato Fabio Capello, allenatore della nazionale inglese, si accorge che a fronte di un continuo dispendio energetico che gli viene chiesto allo United c’è una grande media realizzativa (e di assist of course). Così gli dice durante i periodici ritiri con i ‘3 Leoni’: “sai che il maggior numero di reti viene segnato da dentro l’area di rigore?” Quindi, maglia numero 9 e ruolo di centravanti puro: semplicemente devastante. Perché lui è così, segna di testa, di destro, di sinistro, da vero rapinatore d’area. Nel 2014 segna la rete numero 100 con la nazionale.

Succede che addirittura, quando arriva sulla panchina del Manchester il Profeta Van Gaal per risollevare le sorti del club dopo il tracollo Moyes, il buon Wayne si ritrovi a giocare accanto a Carrick sulla linea dei centrocampisti; a dire il vero, già Ferguson lo aveva impiegato in quel ruolo, ma a scopo emergenziale, quando c’era da recuperare il risultato. Ecco il numero 8, quello dei mediani: semplicemente incredibile. Come quei centrocampisti che corrono, rincorrono, pressano, recuperano, coprono, e poi ripartono, passano, lanciano, tirano. Perché lui è così: grinta e leadership, intelligenza tattica e fiato da vendere.

Sacrificio, squadra, classe: i cardini su cui questo giocatore ha costruito la sua carriera, su cui è ancora forse il primo della classe, su cui sarà ricordato, e stimato, da tutti, vecchi e giovani. Alla fine del 2015 ha segnato 170 reti in 340 partite. Miglior marcatore della storia dei derby di Manchester. Perché lui è così, semplicemente straordinario. Semplicemente Rooney.

SEMPLICEMENTE ROONEY

IL CALCIO, LA NOSTRA FEDE

 

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Se il calcio fosse una droga, noi saremmo dei tossicodipendenti.

C’è poco da dire, in Italia, come in molti altri paesi, il calcio è lo sport più amato, più seguito, più… chiaccherato.

Perché se è vero che pendiamo dalla bocca degli allenatori che amiamo, se idolatriamo i calciatori che più ci piacciono, se spendiamo tra stadi, pay per view e merchandising tanti soldi, è anche vero che ci sentiamo un po’ tutti allenatori, direttori sportivi, dirigenti, opinionisti.

In ogni bar, circolo, sotto l’ombrellone d’estate, mentre siamo insieme, gira che ti rigira due parole sul calcio le spendiamo. Idee, punti di vista, discussioni e liti accendono gli animi, le fantasie e le emozioni.

Il calcio è così: o si ama o si odia. Noi lo amiamo. E scriviamo tutto ciò che vogliamo.

 

Benvenuti footballaddicted!

IL CALCIO, LA NOSTRA FEDE